Autore: Massimo Montanari
Storico dell’Alimentazione
Anno: 2006/07

Il diminutivo significa rimpicciolimento, alleggerimento, ridimensionamento. In un certo senso, anche de-ritualizzazione.
Lo storico istituto della merenda, che tradizionalmente scandiva la metà della mattina e del pomeriggio, meritato ristoro (merenda è dal latino mereo e significa “ciò che si deve meritare”) durante il lavoro o lo studio, ha lasciato il posto a una più piccola, insignificante merendina che minimizza la portata dell’evento, la sua collocazione temporale e spaziale.
Insignificante nel senso letterale: un evento che non “significa”, non esprime e non comunica contenuti sociali -il tempo del riposo e del ristoro dopo il tempo del lavoro e dello studio- ma, svincolandosi dal ritmo della giornata, si riduce all’oggetto del ristoro (il piccolo snack) privo del suo contesto.
La merenda (il tempo della merenda) non c’è più, resta la merendina da consumare. Il messaggio dell’industria è chiaro: la merendina sono io, puoi consumarmi quando vuoi. Il tempo è scomparso, la merendina si allarga potenzialmente all’intera giornata, può perfino sostituire il pasto, per chi non ha tempo oppure persegue, illudendosi, un abbassamento delle calorie. L’idea di pausa rimane, ma è una pausa che può arrivare in qualsiasi momento. Basta un crampo allo stomaco e si allunga la mano, la merendina è pronta, la fame placata. Il cibo-oggetto ha preso il posto del cibo-evento.
Col tempo è scomparso lo spazio.
La merenda, come il pranzo o la cena, aveva luoghi definiti per essere consumata. Durante la mattinata scolastica, si prendeva un po’ d’aria uscendo dall’aula in corridoio, in cortile, in giardino. A metà pomeriggio, tornati da scuola, ti aspettava a casa un piccolo pasto, svelto ma solo apparentemente informale: pane, marmellata, burro, cioccolata, latte o succhi di frutta. Il luogo poteva essere la cucina, il salotto, il giardino… ma c’era un luogo. La merendina mordi e fuggi non ha luogo, si può afferrare e consumare ovunque: sui banchi di scuola, in ufficio, per strada, davanti alla TV. Cioè facendo altro, in luoghi deputati ad altro. I dietologi ci insegneranno tutto su meriti e demeriti delle merendine: qualcuno ostentando nostalgia per l’antico pane e marmellata, qualcun altro muovendosi con intelligenza fra i prodotti, non esattamente uguali, che l’industria alimentare di volta in volta inventa e propone.
Ma non è solo questione di calorie, di zuccheri o di carboidrati.
La variazione su cui vale la pena riflettere è soprattutto quella del tempo e dello spazio, delle dimensioni naturali del nostro vivere che a ben vedere non sono affatto naturali ma vengono, ogni volta, determinate culturalmente, secondo parametri, prospettive e interessi che cambiano.
E una piccola attenzione riserverei, come sempre, alle parole: la merendina sempre a portata di mano non è più qualcosa che si è meritato, ma una specie di atto dovuto, una presenza scontata, di scarso pregio affettivo.
La merendina ha ucciso la merenda?
Proviamo a ripensarci.