Intervista a: Miguel Benasayag
Filosofo e psicanalista
Anno: 2012/13

Stiamo vivendo un passaggio epocale: le certezze non esistono più ma solo sfide di pensiero e paziente sperimentazione. Sperimentazione vissuta concretamente nel suo lavoro, tra i giovani delle banlieues parigine.
Qual è la sfida educativa quando non si conosce il futuro?

Il problema centrale del mondo attuale sta nella convinzione degli adulti di non avere tempo da dedicare all’educazione.
Sebbene l’intento sia quello di proteggere i bambini, gli insegnanti dovrebbero evitare di
trascurare i loro veri desideri impartendo ai ragazzi un’educazione utilitarista che ha come unico scopo quello di affrontare le difficoltà del mondo attuale. Questa tendenza può infatti divenire una trappola per cui il giovane, a sua volta, rischia di abituarsi a una visione utilitarista della vita e, quindi, di non dedicare abbastanza tempo a sviluppare la propria personalità, la propria autonomia nel relazionarsi con il mondo e le proprie affinità elettive o inclinazioni.
Queste ultime sono legate a doppio filo al concetto di “consumo intelligente”, o meglio
“consumo diverso”.

Consapevole?
Consapevole, sì. L’affinità elettiva infatti emerge solo nel momento in cui una persona trova il tempo di capire ciò che desidera veramente. Oggi subiamo una sorta di terrorismo intellettuale che ci induce a esasperare la voglia di consumare, di cui spesso diventiamo schiavi, e a trascurare, in tal modo, i nostri desideri profondi.

Quindi un genitore che ha un atteggiamento apparentemente protettivo, in realtà intrappola il bambino e non gli offre la possibilità di crescere guardando il mondo con i propri occhi?
Il problema è che, oggi, gli adulti stessi si sentono “spaesati” e sono convinti di proteggere i bambini distogliendoli dalle loro “affinità elettive”, ma – così facendo – sbagliano.
Ad esempio, se un bambino esprime il desiderio di diventare un musicista, il genitore e/o l’insegnante spesso valuta le effettive prospettive economiche e lavorative di questa inclinazione e, al fine di proteggere il figlio e/o l’alunno, cerca di dissuaderlo e di indirizzarlo verso attività alternative che siano “utili” rispetto alle logiche – consumista e utilitarista – che regolano l’attuale sistema economico, a scapito del valore dell’individualità. Gli Indiani d’America, attribuivano il nome ai bambini solo dopo aver osservato le loro inclinazioni, ovvero circa dopo i quattro-cinque anni. Fino ad allora i bambini avevano solo un nome provvisorio. Oggi invece si verifica il contrario: l’individualità delle persone soccombe alla mancanza di tempo e se la società non inizia subito ad agire in modo tale che l’individualità emerga, contribuirà ad aumentare la fragilità dei bambini. Questo è il problema: genitori che, convinti di proteggerli, rischiano di rendere i propri figli estremamente fragili privandoli della forza necessaria ad affrontare il mondo. Educare i bambini ad un consumo che sia “differente” vuol dire offrire loro la possibilità di conoscere se stessi e la storia delle loro famiglie in relazione alle tradizioni del loro territorio di riferimento lasciando così emergere desideri che non sono generici, bensì ponderati e focalizzati. E proprio in questo sta la differenza tra desideri e voglie che, al contrario, sono temporanee e sommarie e che spesso lasciano una sensazione di “spaesamento”. Non a caso le persone che “vogliono tutto”, tendenzialmente, non hanno una personalità decisa, una propria individualità.

Quindi, i bambini e i ragazzi, accumulando oggetti si sentono inseriti nel gruppo in condizioni paritarie e, a loro modo, realizzati. In realtà, questa dinamica finisce per intrappolarli poiché li rende inconsapevoli della propria vera identità.
Sì, i giovani rischiano di rimanere intrappolati nelle loro voglie, di consumare in maniera indiscriminata senza essere consapevoli di questa sofferenza che però vivono quotidianamente! Non hanno punti di riferimento che facciano loro capire che volere tutto è sintomo di una sofferenza patologica aggravata dal fatto che i genitori stessi, gli adulti, si trovano nella medesima condizione.

Come si può superare questa situazione? La conoscenza e la cultura possono rappresentare una bussola d’orientamento utile per uscire da questa condizione passiva e infelice che genera non benessere?
La sfida è quella di educare agli aspetti legati alla realtà immediata di bambini e ragazzi. Gli insegnati dovrebbero avere il coraggio di mettere in discussione il fatto che una novità rappresenti, di per sé, un fatto positivo.

La novità per i ragazzi è rappresentata soprattutto dalla tecnologia.
Certo e sta dunque all’insegnante educare i bambini a gestire l’innovazione, la tecnologia, il possesso delle cose, desistendo dalla paura di sentirsi, se privi, emarginati. Insegnare non vuol dire trasferire agli studenti nozioni che siano semplicemente utili, ma aiutare i bambini a sviluppare la propria struttura interna che, inevitabilmente, è diversa da quella di tutti gli altri. Per fare questo c’è bisogno di tempo. Al contrario, i genitori, la società – in generale – non lasciano ai bambini il tempo necessario per formare la loro struttura interna. L’insegnante dovrebbe comprendere che, in realtà, solo dopo che il bambino è psicologicamente strutturato, è in grado di rendersi più o meno conto del mondo circostante e di acquisire competenze utili come l’inglese e la matematica.

Questo è il fine proprio dell’educazione?
Sì, quello di supportare il bambino e contribuire allo sviluppo della sua struttura interna senza lasciarsi sedurre dalla tentazione di trasmettere al bambino quelle competenze utili a “difendersi” nella vita. In realtà, una persona che possiede solo competenze “utili” è, di fatto, vuota e incapace di resistere alla vita…

Perché non ha acquisito la capacità di leggere il mondo e l’autonomia nel farlo. Le competenze matematiche e logiche sono inutili se il bambino non è in grado di osservare e capire il mondo?
Assolutamente sì. Questa è la trappola più pericolosa. A tal proposito, l’educazione al consumo è una possibile soluzione per insegnare al bambino a osservare e a capire il mondo.

I ragazzi sono sempre più attori-consumatori, non si può prescindere da questo.
In realtà, il problema non è scegliere tra “consumare” e “non consumare”, ma è comprendere “cosa si vuol consumare”. Provo a fare un esempio. Una persona acquista un computer e impiega molto tempo a capire come utilizzare ogni sua possibile funzione, perdendo di vista il proprio desiderio per cui il computer non è più uno strumento per fare ciò che ella desidera. Questo è il punto. Oggi possediamo oggetti che richiedono l’impiego delle nostre energie, del nostro tempo, ma che non sono utili a fare ciò che desideriamo veramente.

Il ragazzo possiede giochi, tecnologie… in realtà, poi, vive la trappola della solitudine…
Esattamente! Nel tentativo di comprendere ogni funzionalità di un computer o di un gioco elettronico, il bambino perde di vista il suo obiettivo: non soddisfa più il suo desiderio attraverso il gioco, ma si ritrova ad essere al servizio della tecnologia. Questa inversione è terribile. Un “consumo differente” è un consumo basato sui propri desideri e la comprensione dei propri desideri è conseguente alla conoscenza di noi stessi. Dunque, ognuno acquista beni diversi perché è diverso da tutti gli altri.

Quindi, è necessario essere protagonisti in relazione alla propria individualità e al proprio modo d’essere.
Assolutamente sì. Se un oggetto asseconda un mio desiderio, lo acquisto. L’idea non è quella di abolire la tecnologia o l’oggetto del consumo, ma quella di “colonizzare” l’oggetto sulla base dei nostri desideri e non di “essere colonizzati” dall’oggetto, come oggi accade. Dobbiamo dare una morale al consumo. Pur non ponendo limiti a priori, il consumo si deve mettere al servizio degli obiettivi individuali. L’alternativa non è tra il consumo frenetico e la tristezza della rinuncia. L’insegnante deve aiutare il bambino a sviluppare la sua naturale inclinazione, sia essa la pittura o l’arabo, e lo deve aiutare a far emergere la propria individualità. Una volta emersa, il consumo non rappresenta più un problema.

E darsi il tempo!
La resistenza è questa. La resistenza è darsi il tempo ed essere consapevoli del fatto che non dobbiamo lasciarci consumare dagli oggetti.