Intervista a: Pietro Lucisano
Docente di Pedagogia Sperimentale Università La Sapienza di Roma
Anno: 2009/10

Da trent’anni, Coop organizza attività di educazione al consumo consapevole per i ragazzi delle scuole, dall’infanzia all’adolescenza. Come giudica quest’attività e i modelli di comportamento proposti ai giovani?
Per quello che ho avuto modo di conoscere, le attività proposte alle scuole dalla Coop hanno il pregio di essere stimoli attivi, basati sul gioco e su esperienze concrete, con una attenzione alle caratteristiche di ciascuna fascia di età. Il tema è di grande rilievo poiché il modello sociale dominante porta i bambini, i ragazzi e gli adulti a essere passivi di fronte alle proposte della pubblicità e a non essere protagonisti del loro stesso rapporto con l’ambiente, ma piuttosto passivi. Il consumo diventa così una sorta di attività compulsiva, una specie di bulimia del possesso che non permette neanche di apprezzare le cose che si usano, di capirne il valore, di gustarne il sapore, di collocarle nella loro storia.

In che modo la scuola, coinvolta oggi in molti cambiamenti e innovazioni, con un tempo-scuola che si riduce, può affrontare l’ambizioso compito di educare le giovani generazioni?
Questa è una domanda veramente difficile, ma provo comunque a dare qualche suggerimento. La scuola deve superare i limiti che la rendono una istituzione chiusa e punitiva, deve volere bene ai bambini e ai ragazzi e ritrovare il gusto di costruire la conoscenza con loro piuttosto che di scandalizzarsi del fatto che i ragazzi faticano a conservare le conoscenze che noi vogliamo imporre.
La scuola deve sentirsi come il luogo da cui può ripartire il cambiamento necessario per costruire una società più giusta e più bella. Per questo è necessario che si superi il modello basato sulle discipline, con la pretesa di far apprendere la Treccani a memoria alle giovani generazioni, e che si cerchi una unità di intenti tra ragazzi e insegnanti. Bisogna riscoprire il fatto che studiare è una passione e un privilegio e non un sacrificio da fare per poter diventare ricchi da grandi. I ragazzi di Barbiana dicevano che proporre di studiare per diventare ricchi era volgare, ma i nostri figli sanno che non solo è volgare ma anche falso. Al tempo stesso i ragazzi, se coinvolti, devono imparare che costruire conoscenza è una impresa impegnativa, che richiede cura, metodo e sforzo, che richiede di lavorare assieme e cooperare, che richiede di cambiare nell’essere. Per far bene questo occorre investire sulla scuola non premiando i bravi e punendo i meno bravi, ma costruendo spazi, luoghi e occasioni per far crescere tutti, promuovendo le passioni e le inclinazioni di ciascuno. Ci vogliono laboratori, attrezzature, palestre, attività all’esterno, autonomia e risorse per gestirla e non prediche, ispezioni e tagli di spesa.

La scuola è il luogo più adatto a fare educazione al consumo, ma come coinvolgere le famiglie? E cosa si può suggerire per proseguire, a casa, gli atteggiamenti virtuosi appresi a scuola?
Non sono d’accordo con l’idea che ci sia un luogo più adatto, gli stimoli educativi possono venire da ogni esperienza che i ragazzi vivono. La scuola può aiutare i ragazzi a riflettere sulle loro esperienze e a farlo insieme tra loro e insieme ad adulti disposti ad ascoltarli, anche a casa è importante che si rifletta insieme con i ragazzi. Forse sarebbe utile che prima ancora gli adulti a scuola e a casa riflettessero su ciò che si propongono per la loro vita e su ciò che propongono ai loro figli e/o alunni perché non c’è nulla di più diseducativo che pretendere dai ragazzi cose che palesemente noi non chiediamo a noi stessi.

Coop, tra i suoi obiettivi futuri, ha quello di formare e coinvolgere le famiglie nell’educazione al consumo. Cosa ne pensa?
Penso che cooperare sia un grande programma sociale, un programma difficile da realizzare e in controtendenza rispetto all’isolamento che il modello dominante impone a ragazzi e famiglie. Bisogna fare progetti insieme, proporsi progetti ambiziosi. Io ritengo che dobbiamo superare lo stesso termine “consumo”, perché la parola consumo contiene già in sé elementi di negatività. Mi piace l’idea che dobbiamo educare i giovani e noi stessi a capire il valore delle cose che ci stanno intorno, delle persone che hanno contribuito a costruirle, delle storie che hanno portato alla nostra complessiva situazione di benessere, delle vite che ci sono dietro a ciascuno dei beni che utilizziamo. Capire il valore delle cose è imparare a gustare la vita. Questo comporta smettere la rincorsa verso il possesso fine a sé stesso. Ma essere capaci di vedere l’essenziale che è invisibile agli occhi e di rispondere come il piccolo Principe al mercante che vendeva pillole perfezionate che calmavano la sete, bastava inghiottirne una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.