Autore: Stefano Oliviero
Docente di Storia dell’educazione e Storia dei processi formativi Università degli Studi di Firenze
Anno: 2017/18

Nelle varie lingue parlate e scritte nel pianeta la parola consumo e il verbo consumare hanno assunto, nel corso dei secoli, molteplici significati a loro volta ricchi di sfumature e soggetti ad altrettante interpretazioni etimologiche, talvolta perfino contrastanti. L’essere umano infatti, anche se in forme diverse, ha sempre consumato.

Consumare può significare mangiare, finire, sprecare, distruggere, comprare… può essere, sempre a seconda dell’epoca o del contesto culturale, indice del benessere di una società ma anche della sua crisi e del suo malessere, può avere un senso di compiutezza e allo stesso tempo di atto finale, ovvero la sintesi più alta di un percorso (compiuto, dunque – e perché – perfetto) e la fine, magari ingloriosa, di un percorso (è tutto finito, ormai non c’è più niente da fare).
Senza dubbio appare infatti ormai da tempo corretto e opportuno studiare e leggere il consumo in quanto concetto polisemico e complesso che si articola in un intero universo (dei consumi appunto).
L’universo dei consumi comprende dunque in sé il desiderio di un bene (materiale o immateriale, naturale o artificiale, reale o immaginario…) fino al suo utilizzo e riutilizzo come bene riciclato. I percorsi di educazione al consumo attraversano così necessariamente questo magmatico e mutevole universo: si va dall’alimentazione alla pubblicità, dall’ambiente alla mobilità, dai media all’economia etc.

Lavorare, oggi, con i consumi nel campo educativo e scolastico, oltre a misurarsi con la loro natura complessa, tuttavia comporta anzitutto una profonda riflessione sulla valenza formativa del consumare. Per essere capaci di affrontare le sfide e i problemi enormi di sostenibilità che abbiamo e che avremo in un futuro non troppo lontano non possiamo insomma fare a meno di abbandonare i pregiudizi morali e ideologici e capire a fondo come i consumi determinano e hanno determinato il nostro presente, capire quindi che consumare è un vero e proprio processo formativo.

Lavorare poi su questi temi con i più giovani, comporta pure un serio impegno per intercettare l’immaginario delle nuove generazioni che negli ultimi vent’anni è divenuto mano a mano sempre più distante e differente da quello degli adulti. Se poi l’identità dei cittadini più giovani, specialmente quelli in età scolare, può apparire incerta quanto il loro presente e il loro futuro, senza dubbio è difficilmente codificabile con gli schemi del passato. I giovani, a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, sono stati infatti un soggetto sociale omogeneo, riconosciuto e auto-riconosciuto, ben definito dall’età biologica, dalle aspirazioni e proprio dai consumi, un soggetto sociale con tratti distintivi rispetto agli adulti, con i quali tuttavia condividevano le tensioni e le novità dell’epoca. Pensiamo, ad esempio, a quanto l’immaginario televisivo dello scorso secolo fosse condiviso e intergenerazionale, per non parlare della fiducia nel futuro o del desiderio di cambiamento. Le ragazze e i ragazzi nati a partire dalla fine del millennio hanno invece orizzonti e immaginari molteplici e con sempre meno intersezioni con le generazioni precedenti.

Insomma, per costruire interventi formativi efficaci, specialmente interventi di educazione al consumo, pare necessario e urgente prendere atto di questa trasformazione antropologica e partire dai bisogni, dai saperi, dagli ideali e dai sogni attuali dei più giovani per costruire il nostro presente e il loro futuro.