Marzia Camarda, imprenditrice culturale, esperta di didattica e gender equality

Negli ultimi anni per fortuna si parla spesso di stereotipi legati ai modelli femminili, e si sta lavorando per liberare il potenziale delle bambine e delle donne.
Naturalmente c’è ancora moltissimo da fare, e ce ne accorgiamo per esempio quando scorriamo i testi scolastici e vediamo quanto il canone delle discipline sia ancora profondamente sbilanciato non solo nelle biografie (i letterati, gli artisti, i musicisti, gli scienziati sono quasi tutti uomini, di fatto obliterando l’enorme contributo che le donne hanno dato al progresso e alla conoscenza), ma anche nella narrazione stessa delle discipline (un esempio: la scarsissima presenza della storia sociale nei volumi di storia, che viene presentata per lo più come un insieme di eventi generati appunto da “grandi uomini”).

Tuttavia, è ormai sempre più evidente che la necessità di decostruire gli stereotipi non riguarda solo le donne. Non si tratta infatti “solo” di liberare i modelli femminili: il ripensamento degli stereotipi riguarda tutti i generi e riguarda in generale il nostro approccio legato ai ruoli.

Infatti gli uomini, benché favoriti da molti punti di vista per via di una “naturale” predominanza che gli spiana la strada in alcuni ambiti, sono imprigionati in stereotipi che spesso generano mascolinità tossica, violenza, rigidità rispetto ai ruoli di cura e mancanza di responsabilità genitoriale, scarsa educazione emotiva, non accettazione da parte della società di priorità esistenziali che non coincidano con la carriera e l’accumulo di potere economico.
Alcuni esempi: un padre affettuoso e sollecito viene definito spregiativamente un “mammo”, come se non fosse possibile immaginare che un uomo possa ricoprire pienamente il ruolo di padre dal punto di vista della responsabilità e della cura; alcune professioni (la puericultrice, la donna delle pulizie, la babysitter) sono ancora di pressoché esclusiva attribuzione femminile; così come un uomo che decidesse di occuparsi della casa e dei figli verrebbe ancora ritenuto un mantenuto, un uomo menomato nella sua dignità e virilità.
Gli uomini sono spesso orbati di una dimensione altrettanto importante rispetto a quella della realizzazione professionale, che è la realizzazione della sensibilità e degli affetti, e non è da escludersi che molte delle disfunzioni di comportamento (senza arrivare a eventi tragici, un uomo su due a 5 anni di distanza dal divorzio non frequenta più i figli avuti con la ex moglie) legate a questa dimensione scomparirebbero se la società fosse meno rigida sui ruoli.

Mentre i modelli femminili, insomma, vengono rimessi in discussione da molti anni, sono i modelli maschili che necessitano ancora di un profondo ripensamento, che aiuti anche i bambini e gli uomini a non sentirsi imprigionati in ruoli altrettanto rigidi e giudicanti.
L’obiettivo non è un’inversione dei ruoli e neppure il sopravanzare di un genere sull’altro (o sugli altri), bensì la costruzione di una società in cui tutti possano dare un contributo secondo la libera espressione dei talenti ricevuti.
I docenti e le docenti hanno un ruolo cruciale, perché sono l’unica occasione per chi va a scuola per confrontarsi con modelli più inclusivi rispetto a quelli spesso ricevuti nelle famiglie: senza il loro aiuto, infatti, l’unico modello rimarrebbe quello dei genitori, e si finirebbe per avvantaggiare solo la prole di chi, questa elasticità di ruoli, l’ha già esperita, cioè statisticamente una sparuta minoranza.

Non è possibile (e soprattutto non è efficace) smontare solo alcuni stereotipi di genere senza smontare, contemporaneamente, anche tutti gli altri, ed è proprio a questo che, attraverso il ruolo strategico ricoperto dalla scuola, dobbiamo tendere: a un ripensamento generale dei ruoli, a cui collaborare congiuntamente per liberare le potenzialità degli allievi e per costruire una società davvero democratica, in cui tutti e tutte possano, come diceva Calamandrei, «esplicare senza ostacoli la propria personalità» per «contribuire attivamente alla vita della comunità».